martedì 17 febbraio 2009

oirartnoc la ativ anU

Ogni tanto (ogni volta che si capita a parlare di quanto ci si diverte da giovani, in realtà), quando si parla con un adulto, spesso e volentieri questi, dall'alto della loro esperienza di vita, ci dicono che "la vita ti passa senza che tu te ne accorga".
Ora, non sono nessuno per poter dare torto o ragione ad un'affermazione del genere, ma non posso non notare come una frase del genere sia perfetta per descrivere il curioso caso di Beniamino Bottone.

Tre ore di poltrona in cui si viene letteralmente proiettati da un letto di ospedale a rischio di evacuazione attraverso un'ottantina d'anni di storia americana.
La qual cosa non fa di certo gridare al miracolo, di documentari storici se ne possono contare a milioni.
Il discorso non vale se però in un pomeriggio si ripercorre da cima a fondo (oddio, da fondo a cima forse è meglio) la vita di questo Beniamino Bottone, al secolo Benjamin Button. La storia di un uomo, un uomo come milioni d'altri, che si è trovato a nascere e a vivere nel periodo cruciale del XX secolo, tra le due guerre e negli anni 60-70. Una vita segnata quindi da eventi importanti, che già renderebbero di per sè il racconto di questo soggiorno abbastanza interessante da farci spendere 6€ e un pomeriggio ad ascoltarlo.
Un racconto fatto di vodka e caviale, di tatuaggi, specchi, capelli, ballo e bordelli, di artrosi e demenza senile. Una vita come tante, tutto sommato. Il viaggio di un uomo attraverso la storia, gli altri e quindi sè stesso. Niente di inedito.
Ma il discorso si fa già più interessante quando si precisa che l'uomo tanto discusso è un freak, prospettiva da sempre interessante e critica per guardare la Storia.
Se già, però, Elephant Man ha commosso e fatto piangere schiere di persone quante ne ha fatte piangere Bambi, bè, si resta un attimino incuriositi da quello che può provare Benjamin Button.
Non ha capacità particolari, non sputa fuoco nè è alto e deforme. Solo, è nato vecchio. Proprio vecchio, anziano, raggrinzito, artrotico, debole e malaticcio. E, per rispettare la regola di natura che tutto si trasforma, anche lui cambia negli anni. Però, essendo impossibile invecchiare più di come già è, ringiovanisce.
Ed effettivamente è una vita al contrario in tutto e per tutto: da vecchio (o da neonato, vedetela come volete) in una casa di riposo in compagnia di altri suoi "coetanei", a imparare subito in maniera abbastanza cruda quello che c'è da sapere sul mondo, imparandolo da altri anziani. Ovviamente, in questo ambiente, e in quanto vecchio, familiarizza fin da subito con l'idea della morte, che lo circonda senza possibilità di scampo, senza però diventare un suo incubo, bensì solo una "frequente visitatrice".
E col passare del tempo, man mano che si ringiovanisce, il nostro passa tutte le fasi solite della vita di una persona: il lavoro, il divertimento, la guerra, i viaggi, le esperienze.
Ma il tema portante è quello dell'amore.
Si, perchè, come anni e anni di canzone popolare ci insegna, non hai vissuto veramente se non sai cosa sia davvero l'amore.
E infatti è questo l'elemento chiave del film. Amori che, importanti o meno, riflettono l'età che il signor Button si trova fisicamente ad attraversare. Amori giovanili passionali e travolgenti, amori adulti silenziosi e clandestini, amori vecchi innocenti e accennati.
Il che ricorda anche il percorso di chiunque, dal fervore giovanile alla pacatezza adulta, senza necessariamente limitarsi all'ambito sentimentale. Puoi maledire il destino, puoi bestemmiare, ma quando arriva la fine, non puoi far altro che mollare.
Una vita vissuta sempre a motori al massimo, maturando presto e godendosi ogni sua sfaccettatura, dalla gioia più esaltante al dolore più lacerante, di quelle che a sentirle raccontare, oltre ad essere completamente affascinato, ti senti anche un pò invidioso.
Tanto invidioso che in fin di vita scegli di fartela raccontare per sapere cosa quest'uomo ha davvero passato, per assaporare ancora i mille sapori, per rievocare i colori dei cieli diversi, per sentire gli odori delle donne che hai conosciuto, velocemente, in neanche un pomeriggio, preferendo questo ad una vita fatta di stupidaggini e frivolezze nel mondo della fama e dello spettacolo.
Le semplici cose, insomma.
Tanto semplici, e al contempo tanto personali e intriganti, che ti scopri piangente senza però saperne il motivo, invaso si dall'amarezza (inevitabile, sempre), ma anche dalla felicità. Alla fine è la vita. E' strana, non ci puoi fare niente.


Il compito è stato affidato a Brad Pitt, un attore certo noto ai più non per le sue capacità artistiche, comunque notevoli. E David Fincher (regista, giusto ricordarlo, anche di Seven, The Game, I Soliti Sospetti, The Game, Zodiac, Alien3) ha scelto proprio lui per questo ruolo enciclopedico, sacrificando il suo famoso sex appeal in favore di una vecchiaia crudele, di rughe cadenti e di cataratte. Il suo volto trasformato ricorda, grazie anche alla perfezione della recitazione, il Marlon Brando dei tempi migliori, del Padrino e del tango, e il maledetto James Dean, incarnazione di quella X Generation che Pitt si troverà ad attraversare, tra le altre.
Tutto questo prendetelo e applicatelo anche a Cate Blanchett, che però non fa notizia, che fosse un'attrice pressocchè perfetta non è una notizia di oggi.

Un film perfetto sotto ogni punto di vista, dalla storia (ci vuole la maiuscola o la minuscola?), alla recitazione, alla fotografia (assolutamente splendida), alla colonna sonora, che dal jazz al gospel ai Beatles deve ritrarre quasi un secolo di Storia.
Che vi devo dire, che ve lo consiglio? Decidetelo voi, se siete pronti. Potrebbe non essere facile. Ma sicuramente porta tante soddisfazioni quante emozioni, impossibile ignorarle.
Buona fortuna.

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