domenica 5 giugno 2016

Aaron Sorkin

Facciamo che per una volta (una, proprio) parliamo di film. E quindi ecco un mega-post di facebook che però non voglio scrivere su facebook perché:
1) sono molto presuntuoso e lo voglio far leggere a più persone (?), ma soprattutto
2) non voglio imporre la mia opinione alla mia lista di amici, che è composta, come ogni lista di amici, al 95% da persone di cui non gliene sbatte una sega di quello che penso e quindi ecco, per lo meno lo scrivo qui così le persone a cui interessa lo leggeranno e quelle a cui no no.

Anche stavolta, come nel post precedente, ho appena finito di vedere un film, e verso la fine del suddetto lungometraggio, mi sono reso conto di alcune cose.
Però partiamo dall'inizio, almeno facciamo le presentazioni.
Il film in questione è Steve Jobs, quello dell'anno scorso, quello per cui la promozione nei talk show americani l'ha fatta non l'attrice, non l'attore, non il regista, ma lo sceneggiatore. Primo motivo d'interesse (il secondo era, ovviamente, Michael "Proboscide" Fassbender, non facciamo finta di niente). Fondamentalmente non ha una storia, si occupa dei minuti subito antecedenti alcune presentazioni più o meno cruciali del soggetto. Però, siccome siamo nel 2016 e Game of Thrones it's a thing eccetera eccetera, vi dico subito che ci saranno degli spoiler del film - che non ha trama, di fatto, ma ripeto, ringraziate quello schifo di Game of Thrones.
Il film mi è piaciuto molto. E questo è il lato facile della storia. Il passo successivo è chiedersi perché. E in realtà per capirlo ho dovuto usare la memoria per andare a riprendere quel momento, circa ad un'ora dall'inizio, in cui mi è venuto di muovere il mouse e vedere che era passata un'ora; a questo bisogna aggiungere poi il momento, a circa 15 minuti dalla fine, in cui ho mosso di nuovo il mouse perché mi sono detto "minimo ora il film sta per finire". Ed effettivamente. La durata era di 2.02 ore che sono volate via senza che me ne accorgessi e, ripeto, non stiamo parlando di un film Marvel infarcito di mazzate, effetti speciali e Scarlett Johansson. Tutt'altro: sono due ore senza trama, senza un avvenimento degno di questo nome, senza un colpo di scena, con pochissimi personaggi e tanti, tantissimi dialoghi fluviali. Però è questo che mi è piaciuto, soprattutto paragonato ad un altro tipo di cinema che negli ultimi tempi mi sta davvero irritando, quello autoriale che fa della sofferenza umana quasi gratuita la sua raison d'être (film manifesto che mi vengono in mente così, sull'unghia: Una separazione e Mommy; regista manifesto che mi viene in mente così, sull'unghia: Lars von Trier). Il motivo per il quale mi sta sul cazzo è presto detto. Sono convinto che lo scopo dell'arte sia quello di rappresentare la condizione umana, giusto?, e fin qui siamo tutti d'accordo, no?. Bene. Converrete con me che condizione ≠ sofferenza. Chiaro che la sofferenza rientra nella tavolozza cromatica, e che se vogliamo è anche una parte consistente e molto interessante (per quanto assolutamente non auspicabile), ma guardate Mommy o Una separazione: che cazzo di motivo c'è di ergersi a paladini della sofferenza? Capisco Lars von Trier che lo fa anche in maniera provocatoria, ma obiettivamente come fai a fare una storia su due occidentali che si devono separare in un paese musulmano, con un padre con l'alzheimer e la domestica che lo deve accudire è incinta e sta lavorando senza dirlo al marito che chiaramente è super contrario? Cioè, quanto devi essere stronzo? Senza considerare, poi, che punti tutto sulla storia (che è anche un'aggravante, se vogliamo) e, per come la vedo io, una cosa è fatta bene quando costruisci dei personaggi pieni, tondi; e l'economia di tempo di un film chiaramente non sempre permette che entrambe le cose vengano fatte allo stesso livello. Questo è, a mio avviso, il difetto principale di quel simpatico filmetto che è Perfetti sconosciuti: i personaggi erano ottimi (salvo il padre perfetto, un po' macchietta), i dialoghi non erano brillanti ma erano molto veri, solo che si è voluto puntare sul colpo di scena e sul fatto che tutti scopassero con tutti, quando poteva rimanere una cosa molto meno casinista e molto più intima.
Qui invece si sceglie la strada più difficile: il focus è sull'uomo, sulla mania di controllo, su come riesce a distruggere ogni relazione in cui mette le mani, su quello che le sue parole dicono di lui e su quello che invece dicono di lui le sue azioni. E il finale, da questo punto di vista, è eccezionale. Se da un lato vuole fare il sentimentale da quattro soldi (e comunque i lacrimoni mi sono venuti), dall'altro riesce contemporaneamente a far capire quanto il personaggio fosse bisognoso di attenzione e di approvazione, dopo i rifiuti che aveva avuto da bambino e da adulto con la Apple. Spettacolo vero.

Inoltre, 'sto film rappresenta l'evoluzione del cinema anti-smartphone, ovvero quel genere di film (esclusivamente americani, credo) con dialoghi talmente incalzanti e scene talmente fitte di parole e di trame e sottotrame che ti costringe a stare incollato allo schermo e lasciar stare twitter o whatsapp. Parlo di evoluzione perché, come ho detto, per me la parte davvero bella di un film è il personaggio, e gli altri esempi di questo tipo di cose non puntano proprio sulle sfaccettature del carattere. Penso in particolare a The Big Short e a cose tipo Zero Dark Thirty. In Steve Jobs tu sei preso, sei attento, sei appassionato ma fondamentalmente non succede nulla, a livello di storyline. Poi ok, ci sarebbe anche Tarantino, che 'ste cose le fa da venticinque anni, ma tanto lo sappiamo che lui è un fuoriclasse.
Ora, che cosa voglio dire con tutta 'sta filippica? Non ne ho idea. Però cazzo se è bravo Seth Rogen quando lo metti a fare un ruolo drammatico.