Gli induisti e i buddisti ne sapevano, ci avevano visto lungo quando dicevano di liberarsi dai beni materiali per vivere una vita di solo amore spirituale. Però io non sono né induista né buddista. Un po' perché non ci ho mai provato, un po' perché per me le cose materiali sono importanti, quasi vitali. Scrivendo questo ho davanti agli occhi tutti i fumetti e i libri che ho qui a Milano sulla mensola di casa nuova.
Vabbé, buttiamo giù la maschera. Sono due settimane che sono molto agitato, molto scosso e molto triste perché mi hanno rotto l'hard disk esterno.
Chi è come me (quindi nato prima del 1990 con passioni musicali/filmiche/quellochevolete) capisce cosa questo comporta. Avere un tera e mezzo di roba e perderla in un secondo e mezzo scarso è parecchio destabilizzante, soprattutto considerato che non c'avevo mica salvate le foto fatte col cellulare con quasi tutti quelli, appunto, nati dopo il 1990. La cosa più brutta in assoluto, infatti, è l'essere costretti a vivere i momenti in cui qualsiasi cosa ti passi davanti - sui social, sul lettore mp3 del telefono, o sul lettore mp3 vero e proprio (ho la sensazione che stia per lasciarmi pure lui) - pensi "cazzo, ho perso anche lui".
Ecco una lista a caso delle cose a cui ho pensato man mano che questa sequenza di tristezza e bestemmie (ma più di tristezza) andava avanti.
Gli stand-up sottotitolati in italiano. Bill Hicks è stato parte integrante della mia formazione e crescita come persona, e questo solo grazie a comedysubs che aveva messo online gli spettacoli sottotitolati. Ora, non è che mi mangi le mani per aver perso quelli di Bill Hicks o di Louis CK, perché tanto li so praticamente a memoria, ma mi mancano quelli meno facili da trovare. Hicks e CK sono all over youtube, sottotitolati e non, ma Bigger and Blacker di Chris Rock? Gli Out of England di Ricky Gervais? Ecco, appunto.
I dischi italiani un po' meno strafamosi che ce li ha anche il cane dei vicini. Alla fine i primi Marlene Kuntz, o i primi due/tre dischi degli Afterhours li trovi, così come Capossela e il primo del Teatro degli orrori. Però i primi dei Uochi Toki? La stanza di Swedenborg? I Laghetto? I Three Steps to the Ocean? I primi demo della Biblioteca deserta? La Squadra Omega?
I mix e i bootleg. Nel senso che la discografia dei Godspeed You! Black Emperor la trovi dovunque, ma tutti i loro bootleg? Oppure i vari DJ Kicks, o i Fabriclive? Cazzo, il Fabric55 di Shackleton.
I singoli e gli EP, di musica elettronica e non. Questo è consequenziale a quello di prima. Ad esempio, di Shackleton ho perso il Fabric55, ma anche tutti i singoli. Così come i singoli e gli EP di Burial (anche se forse questi sono un po' più facili da trovare). Così come tutti i singoli dei Radiohead, o dei Cure, o di Falty DL, o di D1. Tutti i dischi dubstep del periodo d'oro. Tutta la discografia sterminata di Aphex Twin con tutti i monicker usati negli anni.
Tutta la roba che non c'è su Spotify. Quindi Joanna Newsom. Quindi i Tool. Quindi tutte le robe post-metal di 8-9-10 anni fa. Tutto il jazz che ancora non avevo ascoltato. I Bohren & der Club of Gore.
Gli hentai. I volumi migliori di Hyji e Naruko Hanaharo.
I fumetti oscuri ed underground scaricati negli anni che ora sarebbe veramente un casino recuperare.
Che poi chiariamoci, non è che sono cose che non troverò mai più. Anzi, mio fratello qualche mese fa mi smollò un suo hard disk esterno da 500 giga che quantomeno mi basterà per due-tre anni per metterci la musica. Però la cosa che davvero manca è la sicurezza che avevi di poter fare affidamento su un archivio di cose che ti piacciono e che potrai avere a tua disposizione. Il sapere che sì ok, di Bob Dylan hai ascoltato tre dischi, ma i più importanti li hai tutti lì e quando arriverà il momento potrai ascoltarli. Stesso discorso per i Rolling Stones. Per Nick Young. Per Springsteen. Per Brian Eno.
Per fortuna non ho mai ignorato Last.fm e ho lì l'archivio di praticamente qualsiasi cosa abbia ascoltato quasi dall'età della ragione ad oggi.
Ma è quasi un ricostruirsi pezzo pezzo.
Ok, potete tornare alle vostre vite.
Ah, ho cambiato il layout e sto cercando di lavorare all'immagine d'intestazione.
Eccovi una foto di PKNA per simboleggiare l'innocenza perduta.
sabato 19 novembre 2016
martedì 1 novembre 2016
15 pensieri sul mio Lucca Comics 2016 +1
5 pensieri sulla manifestazione
1) Il Lucca Comics è bello.
2) Il Lucca Comics è brutto se ci vai solo nei giorni di maggior afflusso, perché la città diventa una scatoletta di sardine e pensi di morirci dentro da un momento all'altro. Io quest'anno ci sono andato di lunedì e si stava da dio. Certo, non tutti si possono permettere un lusso del genere.
3) Starci un solo giorno va bene solo se non hai amor proprio, se vai lì solo per comprare (e fin qui mi ci identifico) e se non ti frega niente di tutto il resto. Quest'anno ci sono stato un giorno solo e ho visto poco e male. Ho visto non benissimo il padiglione degli editori, ho visto solo un padiglione delle fumetterie, non ho visto praticamente nessun padiglione speciale tipo quelli della Warner o della Dylan Dog Experience (non che ci tenessi, vista la fila che c'era), non sono entrato per niente nel padiglione Panini (e questo è anche un traguardo - Panini merda, sempre), non ho visto per nulla né l'Area Japan o qualsiasi fosse il suo nome quest'anno né quella Games (e anche qui sticazzi) e, soprattutto, alle mostre ho potuto dare solo uno sguardo veloce. Ed è veramente un peccato, perché le mostre che mettono su a Lucca sono veramente ben fatte, nonostante siano piccole. Sarà che sono cresciuto coi fumetti, e vedere una tavola originale anche solo di Zerocalcare (che siamo d'accordo non essere proprio Takehiko Inoue - come ha tenuto a specificare anche lui nelle tavole celebrative del 50simo di Lucca) mi smuove qualcosa dalle parti della bocca dello stomaco, figuratevi quindi poter passare 10 minuti a vedere tavole di Kazuo Kamimura tipo questa o questa. Stando un giorno, questo lusso non te lo puoi permettere.
4) La questione degli autografi sta diventando veramente ingestibile. Ora non sono solo i grandi vecchi a pretendere sessioni di firme brevissime (vedi Crumb un paio d'anni fa e Miller quest'anno), ma anche gli ospiti. E non aiuta il fatto che ci sia gente che si prende autografi anche di gente di cui non gliene fotte niente togliendoli ad altri. Buttando la maschera, mi sto lamentando del fatto che non sono riuscito ad avere l'autografo di Kaoru Mori mentre tanta altra gentaglia sì. E Dario Moccia figlio di puttana che se l'è fatto fare perché tanto lui è vip.
5) Se vi piacciono i fumetti, andate a Lucca portandovi dietro tanto danaro, perché io già un giorno dopo sto rimpiangendo l'aver lasciato lì le integrali dell'Eternauta, di Corto Maltese e di Ranxerox, per non parlare degli ultimi x volumi di Sunny e di cose della Coconino a caso. O della serie completa di Gigi la trottola (Dash! Kappei per gli iniziati) a 50€ per cui ancora piango lagrime di sangue.
Top 5 people that stood out (in ordine casuale)
1) Tizi vari agli stand degli editori: gli anziani dello stand Coconino, non puoi non volergli bene; Daniela Odri Mazza, perché è sempre figa; una tipa allo stand Shockdom, per lo stesso motivo; una delle ragazze allo stand JPOP, a cui evidentemente ho fatto tanto pena per quanto pregavo per l'autografo della Mori che mi ha comunque regalato il bloc notes di Otoyomegatari.
2) Il ragazzo massimo diciottenne metallaro con la maglietta dei Dream Theater che quando ritrova il suo amico sotto il duomo gli fa gasatissimo "OH GUARDA COSA HO PRESO! 7 EURO" tirando fuori In the Court of King Crimson. Che faccio, glielo dico che a qualsiasi Feltrinelli d'Italia te lo tirano dietro?
3) I palestrati a petto nudo che fanno i cosplay di Dragon Ball, o: ormai a Lucca Comics ci viene vestito anche mio nonno. Il che mi porta a citare anche il vecchio vestito da Heihachi.
4) Ste Tirasso, perché sì. E pure Baronciani, dai, che mi ha regalato due fighissime prove di stampa di Come svanire completamente.
5) La ragazza che aveva la maglietta "i hope senpai notices me".
Top 1 cosa incomprensibile di Lucca Comics
1) Lo stand dell'Esercito Italiano in Piazza Napoleone. Davvero inspiegabile, non capisco e non so se capirò mai. E sono lì da che io ho memoria. Immarciscibili. Immancabili. Inspiegabili.
Top 5 acquisti
1) I giorni della sposa 7-8 (solo perché non ho ancora letto Shirley, che ha potenziale).
2) Ricomincio da qui, anche solo per il disegno che mi ha fatto.
3) Sky Doll 4 (FINALMENTE CAZZO).
4) L'almanacco dei fumetti della gleba, al primo posto degli acquisti più inaspettati.
5) il nuovo di Gipi, quinto solo perché so già che sarà stupendo e non mi gaso più al pensiero. E Ushio e Tora, perché sì.
1) Il Lucca Comics è bello.
2) Il Lucca Comics è brutto se ci vai solo nei giorni di maggior afflusso, perché la città diventa una scatoletta di sardine e pensi di morirci dentro da un momento all'altro. Io quest'anno ci sono andato di lunedì e si stava da dio. Certo, non tutti si possono permettere un lusso del genere.
3) Starci un solo giorno va bene solo se non hai amor proprio, se vai lì solo per comprare (e fin qui mi ci identifico) e se non ti frega niente di tutto il resto. Quest'anno ci sono stato un giorno solo e ho visto poco e male. Ho visto non benissimo il padiglione degli editori, ho visto solo un padiglione delle fumetterie, non ho visto praticamente nessun padiglione speciale tipo quelli della Warner o della Dylan Dog Experience (non che ci tenessi, vista la fila che c'era), non sono entrato per niente nel padiglione Panini (e questo è anche un traguardo - Panini merda, sempre), non ho visto per nulla né l'Area Japan o qualsiasi fosse il suo nome quest'anno né quella Games (e anche qui sticazzi) e, soprattutto, alle mostre ho potuto dare solo uno sguardo veloce. Ed è veramente un peccato, perché le mostre che mettono su a Lucca sono veramente ben fatte, nonostante siano piccole. Sarà che sono cresciuto coi fumetti, e vedere una tavola originale anche solo di Zerocalcare (che siamo d'accordo non essere proprio Takehiko Inoue - come ha tenuto a specificare anche lui nelle tavole celebrative del 50simo di Lucca) mi smuove qualcosa dalle parti della bocca dello stomaco, figuratevi quindi poter passare 10 minuti a vedere tavole di Kazuo Kamimura tipo questa o questa. Stando un giorno, questo lusso non te lo puoi permettere.
4) La questione degli autografi sta diventando veramente ingestibile. Ora non sono solo i grandi vecchi a pretendere sessioni di firme brevissime (vedi Crumb un paio d'anni fa e Miller quest'anno), ma anche gli ospiti. E non aiuta il fatto che ci sia gente che si prende autografi anche di gente di cui non gliene fotte niente togliendoli ad altri. Buttando la maschera, mi sto lamentando del fatto che non sono riuscito ad avere l'autografo di Kaoru Mori mentre tanta altra gentaglia sì. E Dario Moccia figlio di puttana che se l'è fatto fare perché tanto lui è vip.
5) Se vi piacciono i fumetti, andate a Lucca portandovi dietro tanto danaro, perché io già un giorno dopo sto rimpiangendo l'aver lasciato lì le integrali dell'Eternauta, di Corto Maltese e di Ranxerox, per non parlare degli ultimi x volumi di Sunny e di cose della Coconino a caso. O della serie completa di Gigi la trottola (Dash! Kappei per gli iniziati) a 50€ per cui ancora piango lagrime di sangue.
Top 5 people that stood out (in ordine casuale)
1) Tizi vari agli stand degli editori: gli anziani dello stand Coconino, non puoi non volergli bene; Daniela Odri Mazza, perché è sempre figa; una tipa allo stand Shockdom, per lo stesso motivo; una delle ragazze allo stand JPOP, a cui evidentemente ho fatto tanto pena per quanto pregavo per l'autografo della Mori che mi ha comunque regalato il bloc notes di Otoyomegatari.
2) Il ragazzo massimo diciottenne metallaro con la maglietta dei Dream Theater che quando ritrova il suo amico sotto il duomo gli fa gasatissimo "OH GUARDA COSA HO PRESO! 7 EURO" tirando fuori In the Court of King Crimson. Che faccio, glielo dico che a qualsiasi Feltrinelli d'Italia te lo tirano dietro?
3) I palestrati a petto nudo che fanno i cosplay di Dragon Ball, o: ormai a Lucca Comics ci viene vestito anche mio nonno. Il che mi porta a citare anche il vecchio vestito da Heihachi.
4) Ste Tirasso, perché sì. E pure Baronciani, dai, che mi ha regalato due fighissime prove di stampa di Come svanire completamente.
5) La ragazza che aveva la maglietta "i hope senpai notices me".
Top 1 cosa incomprensibile di Lucca Comics
1) Lo stand dell'Esercito Italiano in Piazza Napoleone. Davvero inspiegabile, non capisco e non so se capirò mai. E sono lì da che io ho memoria. Immarciscibili. Immancabili. Inspiegabili.
Top 5 acquisti
1) I giorni della sposa 7-8 (solo perché non ho ancora letto Shirley, che ha potenziale).
2) Ricomincio da qui, anche solo per il disegno che mi ha fatto.
3) Sky Doll 4 (FINALMENTE CAZZO).
4) L'almanacco dei fumetti della gleba, al primo posto degli acquisti più inaspettati.
5) il nuovo di Gipi, quinto solo perché so già che sarà stupendo e non mi gaso più al pensiero. E Ushio e Tora, perché sì.
domenica 5 giugno 2016
Aaron Sorkin
Facciamo che per una volta (una, proprio) parliamo di film. E quindi ecco un mega-post di facebook che però non voglio scrivere su facebook perché:
1) sono molto presuntuoso e lo voglio far leggere a più persone (?), ma soprattutto
2) non voglio imporre la mia opinione alla mia lista di amici, che è composta, come ogni lista di amici, al 95% da persone di cui non gliene sbatte una sega di quello che penso e quindi ecco, per lo meno lo scrivo qui così le persone a cui interessa lo leggeranno e quelle a cui no no.
Anche stavolta, come nel post precedente, ho appena finito di vedere un film, e verso la fine del suddetto lungometraggio, mi sono reso conto di alcune cose.
Però partiamo dall'inizio, almeno facciamo le presentazioni.
Il film in questione è Steve Jobs, quello dell'anno scorso, quello per cui la promozione nei talk show americani l'ha fatta non l'attrice, non l'attore, non il regista, ma lo sceneggiatore. Primo motivo d'interesse (il secondo era, ovviamente, Michael "Proboscide" Fassbender, non facciamo finta di niente). Fondamentalmente non ha una storia, si occupa dei minuti subito antecedenti alcune presentazioni più o meno cruciali del soggetto. Però, siccome siamo nel 2016 e Game of Thrones it's a thing eccetera eccetera, vi dico subito che ci saranno degli spoiler del film - che non ha trama, di fatto, ma ripeto, ringraziate quello schifo di Game of Thrones.
Il film mi è piaciuto molto. E questo è il lato facile della storia. Il passo successivo è chiedersi perché. E in realtà per capirlo ho dovuto usare la memoria per andare a riprendere quel momento, circa ad un'ora dall'inizio, in cui mi è venuto di muovere il mouse e vedere che era passata un'ora; a questo bisogna aggiungere poi il momento, a circa 15 minuti dalla fine, in cui ho mosso di nuovo il mouse perché mi sono detto "minimo ora il film sta per finire". Ed effettivamente. La durata era di 2.02 ore che sono volate via senza che me ne accorgessi e, ripeto, non stiamo parlando di un film Marvel infarcito di mazzate, effetti speciali e Scarlett Johansson. Tutt'altro: sono due ore senza trama, senza un avvenimento degno di questo nome, senza un colpo di scena, con pochissimi personaggi e tanti, tantissimi dialoghi fluviali. Però è questo che mi è piaciuto, soprattutto paragonato ad un altro tipo di cinema che negli ultimi tempi mi sta davvero irritando, quello autoriale che fa della sofferenza umana quasi gratuita la sua raison d'être (film manifesto che mi vengono in mente così, sull'unghia: Una separazione e Mommy; regista manifesto che mi viene in mente così, sull'unghia: Lars von Trier). Il motivo per il quale mi sta sul cazzo è presto detto. Sono convinto che lo scopo dell'arte sia quello di rappresentare la condizione umana, giusto?, e fin qui siamo tutti d'accordo, no?. Bene. Converrete con me che condizione ≠ sofferenza. Chiaro che la sofferenza rientra nella tavolozza cromatica, e che se vogliamo è anche una parte consistente e molto interessante (per quanto assolutamente non auspicabile), ma guardate Mommy o Una separazione: che cazzo di motivo c'è di ergersi a paladini della sofferenza? Capisco Lars von Trier che lo fa anche in maniera provocatoria, ma obiettivamente come fai a fare una storia su due occidentali che si devono separare in un paese musulmano, con un padre con l'alzheimer e la domestica che lo deve accudire è incinta e sta lavorando senza dirlo al marito che chiaramente è super contrario? Cioè, quanto devi essere stronzo? Senza considerare, poi, che punti tutto sulla storia (che è anche un'aggravante, se vogliamo) e, per come la vedo io, una cosa è fatta bene quando costruisci dei personaggi pieni, tondi; e l'economia di tempo di un film chiaramente non sempre permette che entrambe le cose vengano fatte allo stesso livello. Questo è, a mio avviso, il difetto principale di quel simpatico filmetto che è Perfetti sconosciuti: i personaggi erano ottimi (salvo il padre perfetto, un po' macchietta), i dialoghi non erano brillanti ma erano molto veri, solo che si è voluto puntare sul colpo di scena e sul fatto che tutti scopassero con tutti, quando poteva rimanere una cosa molto meno casinista e molto più intima.
Qui invece si sceglie la strada più difficile: il focus è sull'uomo, sulla mania di controllo, su come riesce a distruggere ogni relazione in cui mette le mani, su quello che le sue parole dicono di lui e su quello che invece dicono di lui le sue azioni. E il finale, da questo punto di vista, è eccezionale. Se da un lato vuole fare il sentimentale da quattro soldi (e comunque i lacrimoni mi sono venuti), dall'altro riesce contemporaneamente a far capire quanto il personaggio fosse bisognoso di attenzione e di approvazione, dopo i rifiuti che aveva avuto da bambino e da adulto con la Apple. Spettacolo vero.
Inoltre, 'sto film rappresenta l'evoluzione del cinema anti-smartphone, ovvero quel genere di film (esclusivamente americani, credo) con dialoghi talmente incalzanti e scene talmente fitte di parole e di trame e sottotrame che ti costringe a stare incollato allo schermo e lasciar stare twitter o whatsapp. Parlo di evoluzione perché, come ho detto, per me la parte davvero bella di un film è il personaggio, e gli altri esempi di questo tipo di cose non puntano proprio sulle sfaccettature del carattere. Penso in particolare a The Big Short e a cose tipo Zero Dark Thirty. In Steve Jobs tu sei preso, sei attento, sei appassionato ma fondamentalmente non succede nulla, a livello di storyline. Poi ok, ci sarebbe anche Tarantino, che 'ste cose le fa da venticinque anni, ma tanto lo sappiamo che lui è un fuoriclasse.
Ora, che cosa voglio dire con tutta 'sta filippica? Non ne ho idea. Però cazzo se è bravo Seth Rogen quando lo metti a fare un ruolo drammatico.
1) sono molto presuntuoso e lo voglio far leggere a più persone (?), ma soprattutto
2) non voglio imporre la mia opinione alla mia lista di amici, che è composta, come ogni lista di amici, al 95% da persone di cui non gliene sbatte una sega di quello che penso e quindi ecco, per lo meno lo scrivo qui così le persone a cui interessa lo leggeranno e quelle a cui no no.
Anche stavolta, come nel post precedente, ho appena finito di vedere un film, e verso la fine del suddetto lungometraggio, mi sono reso conto di alcune cose.
Però partiamo dall'inizio, almeno facciamo le presentazioni.
Il film in questione è Steve Jobs, quello dell'anno scorso, quello per cui la promozione nei talk show americani l'ha fatta non l'attrice, non l'attore, non il regista, ma lo sceneggiatore. Primo motivo d'interesse (il secondo era, ovviamente, Michael "Proboscide" Fassbender, non facciamo finta di niente). Fondamentalmente non ha una storia, si occupa dei minuti subito antecedenti alcune presentazioni più o meno cruciali del soggetto. Però, siccome siamo nel 2016 e Game of Thrones it's a thing eccetera eccetera, vi dico subito che ci saranno degli spoiler del film - che non ha trama, di fatto, ma ripeto, ringraziate quello schifo di Game of Thrones.
Il film mi è piaciuto molto. E questo è il lato facile della storia. Il passo successivo è chiedersi perché. E in realtà per capirlo ho dovuto usare la memoria per andare a riprendere quel momento, circa ad un'ora dall'inizio, in cui mi è venuto di muovere il mouse e vedere che era passata un'ora; a questo bisogna aggiungere poi il momento, a circa 15 minuti dalla fine, in cui ho mosso di nuovo il mouse perché mi sono detto "minimo ora il film sta per finire". Ed effettivamente. La durata era di 2.02 ore che sono volate via senza che me ne accorgessi e, ripeto, non stiamo parlando di un film Marvel infarcito di mazzate, effetti speciali e Scarlett Johansson. Tutt'altro: sono due ore senza trama, senza un avvenimento degno di questo nome, senza un colpo di scena, con pochissimi personaggi e tanti, tantissimi dialoghi fluviali. Però è questo che mi è piaciuto, soprattutto paragonato ad un altro tipo di cinema che negli ultimi tempi mi sta davvero irritando, quello autoriale che fa della sofferenza umana quasi gratuita la sua raison d'être (film manifesto che mi vengono in mente così, sull'unghia: Una separazione e Mommy; regista manifesto che mi viene in mente così, sull'unghia: Lars von Trier). Il motivo per il quale mi sta sul cazzo è presto detto. Sono convinto che lo scopo dell'arte sia quello di rappresentare la condizione umana, giusto?, e fin qui siamo tutti d'accordo, no?. Bene. Converrete con me che condizione ≠ sofferenza. Chiaro che la sofferenza rientra nella tavolozza cromatica, e che se vogliamo è anche una parte consistente e molto interessante (per quanto assolutamente non auspicabile), ma guardate Mommy o Una separazione: che cazzo di motivo c'è di ergersi a paladini della sofferenza? Capisco Lars von Trier che lo fa anche in maniera provocatoria, ma obiettivamente come fai a fare una storia su due occidentali che si devono separare in un paese musulmano, con un padre con l'alzheimer e la domestica che lo deve accudire è incinta e sta lavorando senza dirlo al marito che chiaramente è super contrario? Cioè, quanto devi essere stronzo? Senza considerare, poi, che punti tutto sulla storia (che è anche un'aggravante, se vogliamo) e, per come la vedo io, una cosa è fatta bene quando costruisci dei personaggi pieni, tondi; e l'economia di tempo di un film chiaramente non sempre permette che entrambe le cose vengano fatte allo stesso livello. Questo è, a mio avviso, il difetto principale di quel simpatico filmetto che è Perfetti sconosciuti: i personaggi erano ottimi (salvo il padre perfetto, un po' macchietta), i dialoghi non erano brillanti ma erano molto veri, solo che si è voluto puntare sul colpo di scena e sul fatto che tutti scopassero con tutti, quando poteva rimanere una cosa molto meno casinista e molto più intima.
Qui invece si sceglie la strada più difficile: il focus è sull'uomo, sulla mania di controllo, su come riesce a distruggere ogni relazione in cui mette le mani, su quello che le sue parole dicono di lui e su quello che invece dicono di lui le sue azioni. E il finale, da questo punto di vista, è eccezionale. Se da un lato vuole fare il sentimentale da quattro soldi (e comunque i lacrimoni mi sono venuti), dall'altro riesce contemporaneamente a far capire quanto il personaggio fosse bisognoso di attenzione e di approvazione, dopo i rifiuti che aveva avuto da bambino e da adulto con la Apple. Spettacolo vero.
Inoltre, 'sto film rappresenta l'evoluzione del cinema anti-smartphone, ovvero quel genere di film (esclusivamente americani, credo) con dialoghi talmente incalzanti e scene talmente fitte di parole e di trame e sottotrame che ti costringe a stare incollato allo schermo e lasciar stare twitter o whatsapp. Parlo di evoluzione perché, come ho detto, per me la parte davvero bella di un film è il personaggio, e gli altri esempi di questo tipo di cose non puntano proprio sulle sfaccettature del carattere. Penso in particolare a The Big Short e a cose tipo Zero Dark Thirty. In Steve Jobs tu sei preso, sei attento, sei appassionato ma fondamentalmente non succede nulla, a livello di storyline. Poi ok, ci sarebbe anche Tarantino, che 'ste cose le fa da venticinque anni, ma tanto lo sappiamo che lui è un fuoriclasse.
Ora, che cosa voglio dire con tutta 'sta filippica? Non ne ho idea. Però cazzo se è bravo Seth Rogen quando lo metti a fare un ruolo drammatico.
domenica 8 maggio 2016
Hype
"Alle 8 rilasciano l'album, quindi se sono le 6 e 14 ho tempo per vedermi un filmetto, poi vado sul forum di Do You Realize? e vedo come scaricarlo/comprarlo, se si può in condizioni umane". E invece, puntuale come le mestruazioni quando vuoi scopare, il disco lo si poteva scaricare da ben prima delle 8. Ed era facilmente intuibile, è stato così anche per gli altri due, e squadra che vince non si cambia. Poi ho visto che un bel po' di gente giusta ne aveva già cominciato a parlare su twitter e sul suddetto forum, e quindi l'ansia ha cominciato a salire e, insieme a lei, pure la perplessità. Perché, vista la differenza nei suoni con Daydreaming ed il fatto che Burn the Witch uscirà in vinile, ero straconvinto che Burn the Witch non ci sarebbe stata nella tracklist definitiva. Invece c'è, ed invece è anche in apertura, subito prima di Daydreaming. Perplessità, si diceva, e quindi ho steso in fretta le lenzuola e, ancora un po' scosso e, diciamo, malinconico per la visione di Y tu mamá también, metto play. Visto il successo (?) del live-blogging dell'ultimo disco degli Horrors, ho pensato bene (???) di replicare con una sorta di maxi-tweet a canzone. So, here we go.
Burn the Witch: niente di nuovo, se n'è già parlato ovunque. Ribadisco solo la goduria quando sul finale prendono il palco i violini alla GY!BE.
Daydreaming: inizia come una traccia di Four Tet, che di per sé può essere un bene o un male nella stessa misura, visto The King of Limbs. Poi entra su il piano alla Radiohead e cambia tutto, e tutto per il meglio. Triste e trascinante come solo i Radiohead possono essere tristi e trascinanti contemporaneamente, con quegli inserti strani bellissimi. Il finale spiegatemelo voi perché sono senza parole. Sembra Viginti Tres senza essere Viginti Tres. "Capolavoro" si può dire?
Decks Dark: altro inizio alla Four Tet o alla Pantha du Prince. Che linea vocale che ha beccato Thom Occhibelli. E che roba quando entrano tutti gli altri. Sono loro e sembra roba di Amnesiac, o comunque di Kid A senza essere glaciali in quella maniera. "You gotta be kidding me, it was just a laugh". Non mi viene in mente qualcun altro che possa far evolvere una traccia in questo modo, pazzesco.
Desert Island Disk: addirittura la partenza con l'acustica. Praticamente quando si inseriscono gli altri strumenti insegnano ai giovincelli che i Pink Floyd* non sono intoccabili e anzi, andate a riascoltarveli che qui vi stiamo insegnando due cosette, ché a fare i neri sono bravi tutti, ma provate a fare 'sta cosa.
Ful Stop: OMFG. Provo a non esprimermi per acronimi: che pezzo, ragazzi. Dopo un po' ci sono le chitarre, da subito c'è il movimento; che è, la nuova 15 Steps?
Glass Eyes: ecco, questa potrebbe essere uscita da Kid A. Ballatone algido con testo personale.
Identikit: l'urlo di Selway terrorizza l'occidente. Finora le chitarre sono veramente al centro dell'attenzione, apparentemente in maniera molto maggiore rispetto ad In Rainbows (che è il vero termine di paragone, direi, accertata l'assenza di robe alla KoL - che a me non è dispiaciuto, eh).
The Numbers: l'unica canzone a non essere in ordine alfabetico. Qui la parte del leone la fanno gli inserti: il coretto, GLI ARCHI, madonna mia gli archi.
Present Tense: e 'sta chitarra che è? Che bomba è? Ha un che di latino, sembra la versione malinconica di una canzone dei Thievery Corporation o un pezzo preso dalla colonna sonora dei due Kill Bill. Entusiasmante già solo il primo minuto. Poi chiaramente migliora solo, ma d'altra parte che vi aspettavate?
Tinker Tailor Soldier Sailor Rich Man Poor Man Beggar Man Thief: giustamente, dopo una canzone tutta chitarra e lacrime (mie), quella successiva inizia col suono sintetico. Però vedi che sono stronzi? Tu dici, "ok, inizio elettronico, poi arriva il piano, arriva la voce, arriva la batteria, praticamente siamo dalle parti di Knives Out come suoni". E poi ti piazzano i violini che cominciano a incasinarti i sentimenti.
True Love Waits: dai, l'abbiamo sentita tutti questa. A momenti è più famosa di Paranoid Android. Però anche qui, vedi che una roba è ascoltare la versione demo e un'altra è ascoltarla con un master serio, registrata in studio con tutti i crismi? Bellissima.
*chiaramente escludete Syd Barrett.
In chiusura, pensate che al mondo c'è gente a cui non piacciono i Radiohead e siate tristi per loro.
Burn the Witch: niente di nuovo, se n'è già parlato ovunque. Ribadisco solo la goduria quando sul finale prendono il palco i violini alla GY!BE.
Daydreaming: inizia come una traccia di Four Tet, che di per sé può essere un bene o un male nella stessa misura, visto The King of Limbs. Poi entra su il piano alla Radiohead e cambia tutto, e tutto per il meglio. Triste e trascinante come solo i Radiohead possono essere tristi e trascinanti contemporaneamente, con quegli inserti strani bellissimi. Il finale spiegatemelo voi perché sono senza parole. Sembra Viginti Tres senza essere Viginti Tres. "Capolavoro" si può dire?
Decks Dark: altro inizio alla Four Tet o alla Pantha du Prince. Che linea vocale che ha beccato Thom Occhibelli. E che roba quando entrano tutti gli altri. Sono loro e sembra roba di Amnesiac, o comunque di Kid A senza essere glaciali in quella maniera. "You gotta be kidding me, it was just a laugh". Non mi viene in mente qualcun altro che possa far evolvere una traccia in questo modo, pazzesco.
Desert Island Disk: addirittura la partenza con l'acustica. Praticamente quando si inseriscono gli altri strumenti insegnano ai giovincelli che i Pink Floyd* non sono intoccabili e anzi, andate a riascoltarveli che qui vi stiamo insegnando due cosette, ché a fare i neri sono bravi tutti, ma provate a fare 'sta cosa.
Ful Stop: OMFG. Provo a non esprimermi per acronimi: che pezzo, ragazzi. Dopo un po' ci sono le chitarre, da subito c'è il movimento; che è, la nuova 15 Steps?
Glass Eyes: ecco, questa potrebbe essere uscita da Kid A. Ballatone algido con testo personale.
Identikit: l'urlo di Selway terrorizza l'occidente. Finora le chitarre sono veramente al centro dell'attenzione, apparentemente in maniera molto maggiore rispetto ad In Rainbows (che è il vero termine di paragone, direi, accertata l'assenza di robe alla KoL - che a me non è dispiaciuto, eh).
The Numbers: l'unica canzone a non essere in ordine alfabetico. Qui la parte del leone la fanno gli inserti: il coretto, GLI ARCHI, madonna mia gli archi.
Present Tense: e 'sta chitarra che è? Che bomba è? Ha un che di latino, sembra la versione malinconica di una canzone dei Thievery Corporation o un pezzo preso dalla colonna sonora dei due Kill Bill. Entusiasmante già solo il primo minuto. Poi chiaramente migliora solo, ma d'altra parte che vi aspettavate?
Tinker Tailor Soldier Sailor Rich Man Poor Man Beggar Man Thief: giustamente, dopo una canzone tutta chitarra e lacrime (mie), quella successiva inizia col suono sintetico. Però vedi che sono stronzi? Tu dici, "ok, inizio elettronico, poi arriva il piano, arriva la voce, arriva la batteria, praticamente siamo dalle parti di Knives Out come suoni". E poi ti piazzano i violini che cominciano a incasinarti i sentimenti.
True Love Waits: dai, l'abbiamo sentita tutti questa. A momenti è più famosa di Paranoid Android. Però anche qui, vedi che una roba è ascoltare la versione demo e un'altra è ascoltarla con un master serio, registrata in studio con tutti i crismi? Bellissima.
*chiaramente escludete Syd Barrett.
In chiusura, pensate che al mondo c'è gente a cui non piacciono i Radiohead e siate tristi per loro.
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