domenica 13 dicembre 2015

Kamasi, da L.A. con furore

È da qualche g̶i̶o̶r̶n̶o̶ settimana che penso a che grande anno sia stato per me, musicalmente, il 2015. Lascio ai posteri i confronti con i vari 1967, '71 o '94, ma di dischi da ricordare per me ce ne sono stati tantissimi, anche di generi non per forza vicini ai gusti di tutti.
Pensateci: i Tame Impala hanno giocato quello che potrebbe essere il loro miglior disco; il disco di Sufjan Stevens è da considerare nella categoria per diritto di nascita, e comunque è eccezionale; stesso discorso per i GY!BE e Joanna, e nonostante non mi abbia mai appassionato, il discorso è valido anche per quel malato di mente di Oneohtrix Point Never; Kendrick Lamar potrebbe anche lui aver fatto il disco della vita, ma non mi sorprenderei se riuscisse anche a fare meglio di così. E poi c'è stato Kamasi Washington, che ha fatto una cosa anche più aliena di Garden of Delete: dati i passati e la psiche disturbata, da Lopatin una cosa così te l'aspetti. Ma chi ti tira fuori (e date peso ad ognuno dei complementi seguenti) all'esordio un disco triplo di tre ore di durata nel 2015?
E da qui deriva il concetto di "concerto dell'anno". Chiaro che ognuno ha il suo e ognuno ha il criterio per scegliere il suo. Io stesso solo quest'estate ho visto GY!BE, James Blake e Sun Kil Moon, concerti che variano da "bellissimo" a "esperienza mistica", ma ce ne sono alcuni che si inseriscono esattamente nel flusso dello zeitgeist e dire "ah sì, io c'ero, a quel concerto lì" ha tutto un altro valore.
E questo era il caso.
Non sono un frequentatore abituale di concerti jazz (anzi. Se ne vedo uno all'anno è grasso che cola), ma in un certo senso so cosa aspettarmi. Non avevo però considerato il fattore "furia". Perché è questo che si è percepito durante Change of the Guard all'apertura, o durante GLI assoli di batteria prima di The Magnificent 7, o durante il penultimo pezzo di cui non ricordo il titolo. Oddio, ad essere onesti il delirio c'è stato praticamente in ogni canzone, ma in questi tre casi hanno veramente esagerato. Addirittura anche in Henrietta Our Hero, e ci stava benissimo.
Nonostante tutto il casino di gente che c'era - cosa che mi ha lasciato molto sorpreso, visto il tipo di musica di cui si sta parlando - il buon Kamasi ha cercato in ogni modo di rendere il live più intimo possibile. Parlando frequentemente col pubblico, parlando della Henrietta del titolo della canzone (la nonna, per chi se lo stesse chiedendo), addirittura facendo la carrambata e portando sul palco suo padre - rivelatosi, senza alcuna sorpresa, un musicista coi controcoglioni (per riferimenti, quello col flauto nella prima foto). Oppure facendo un pezzo del suo bassista, una ballata superlenta iniziata in solitaria e a cui si sono aggiunti dopo un bel po' Kamasi e gli altri. Ma niente da fare. Se penso ad una cosa intima, non è questa la musica che mi viene in mente. Quando cominciavano a fare sul serio la gente sorrideva di gusto e gioiva, quindi non era proprio una cosa intima, era più che altro una festa. Addirittura ti ha fatto apprezzare un assolo di keytar, roba da pazzi. Ci fosse stato solo un palco più grande la cosa sarebbe potuta essere eccezionale anche dal punto di vista visivo ma vabbé, già stavamo stipati come sardine, non mi sembra il caso di fare troppo gli schizzinosi, diciamo che va bene così.
L'unica nota di disappunto è data dalla gestione del locale, che mi ha dovuto far perdere verosimilmente l'ultima canzone per prendere la metro, visto che hanno voluto far cominciare alle 11 un concerto di mercoledì. Bravi.
Ma ciò nonostante, è stata una gran serata.
E io c'ero.

2 commenti:

  1. Ho scoperto il buon Kamasi solo ora, trovandolo su Reddit.
    Mi merito l'anatema papale?

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